Lettera/Giancarlo Rizzoglio: «La mia analisi sul Genoa e sulle contestazioni»

Egregio direttore, le recenti vicissitudini del Genoa Cricket and Football Club 1893 e della sua tifoseria organizzata, mi inducono ad esprimere un’analisi sulla contestazione in atto al Presidente Preziosi ed alla sua politica societaria degli ultimi anni, che spero venga gentilmente pubblicata dalla sua testata. Anzitutto voglio correttamente precisare di essere tra quelli che, fino […]


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Egregio direttore,

le recenti vicissitudini del Genoa Cricket and Football Club 1893 e della sua tifoseria organizzata, mi inducono ad esprimere un’analisi sulla contestazione in atto al Presidente Preziosi ed alla sua politica societaria degli ultimi anni, che spero venga gentilmente pubblicata dalla sua testata.

Anzitutto voglio correttamente precisare di essere tra quelli che, fino al campionato del quarto posto con Milito e Motta, consideravano Enrico Preziosi come il più grande presidente del Genoa del dopoguerra, grazie ai risultati conseguiti sul campo ma soprattutto alla rinnovata speranza data a tutto il popolo rossoblù di tornare a ricoprire un ruolo da protagonista nel nostro campionato.

La forte parabola discendente degli ultimi anni – e la conseguente protesta popolare contro la politica della società – mi impongono però una profonda riflessione, che parte proprio dalle più recenti dichiarazioni di Preziosi sull’impossibilità di portare il Genoa nelle prime posizioni della classifica a causa di un bacino di utenza, a suo dire, limitato, il quale, ad onta dei suoi investimenti, ne impedirebbe l’ulteriore sviluppo in una dimensione certamente più vincente di quella attuale.

Anzitutto vorrei ricordare al presidente che quello del Genoa – a livello locale – è invece un pubblico tra i più importanti ed affezionati d’Italia, come testimoniano le presenze medie allo stadio negli anni più belli del Grifone disputati in Serie A, Serie B e Serie C.

Certo, oggi gli introiti derivanti dagli incassi ai botteghini hanno una voce molto più marginale sui bilanci societari, perché i proventi televisivi giocano ormai da diversi anni un ruolo determinante sulle fortune sportive delle varie società.

Proprio sulla base di questa logica, società come Juventus, Inter, Milan e Roma, potendo vantare decine e decine d‚anni di grandi successi, hanno costruito un grande bacino d’utenza non solo basato sulle presenze allo stadio, ma soprattutto composto di ascolti televisivi provenienti da tutto il territorio nazionale: questa è oggi la vera differenza con tutte le altre squadre del campionato italiano.

Ed in questo Preziosi ha sicuramente ragione. Il Genoa non può attualmente contare, su scala nazionale, sullo stesso seguito televisivo delle cosiddette “grandi”.

Ma qui si apre allora un‚altra analisi. Sulla base di quanto avviene ad esempio nei campionati professionistici americani della NBA – dove i finanziamenti derivanti dalle televisioni sono ripartiti in modo più equo tra partecipanti che spesso non appartengono comunque alle grandi città – viene dunque spontaneo chiedersi se squadre di altre aree metropolitane d’Italia ( e, bene inteso, non si sta parlando di cittadine di provincia) come appunto Genoa, Torino, Lazio, Fiorentina, Bologna, Palermo, Sampdoria, Cagliari o Bari, cioè squadre che vantano forti bacini d’utenza locali nelle loro rispettive città, con una grande tradizione storico-sportiva, debbano continuare ad essere sistematicamente tagliate fuori per il futuro dalla lotta per le prime posizioni della classifica in base alla esclusiva logica corporativista degli introiti televisivi.

Forse Preziosi non ha capito che il Genoa rappresenta pur sempre una grande città italiana, con una grande storia e grandi potenzialità economiche inespresse, che meriterebbe finalmente un presidente che impostasse un programma ad ampia scadenza, che preveda una paziente ma progressiva riduzione della netta forbice finanziaria che esiste con le cosiddette “grandi”.

In quest’ottica i genoani si sarebbero anzitutto aspettati nel corso degli anni da Preziosi, una ferma e decisa presa di posizione in Lega e negli ambienti federali a favore di una più equa ripartizione degli introiti televisivi magari in sinergia con altre società dello stesso livello, in modo da far capire a tutti che un campionato a quattro o cinque squadre, ossia esclusivamente circoscritto alle “grandi”, sarebbe stata una conseguenza catastrofica per tutto il calcio italiano. Al contrario, i fatti purtroppo dicono che lui si è invece messo al servizio soprattutto della potenza delle società milanesi, assumendo quell’atteggiamento di “servilismo” che oggi gli è principalmente imputato dalla tifoseria organizzata rossoblù.

Preziosi poi dice che è assolutamente inevitabile cedere i migliori giocatori per garantire al Genoa un bilancio sano.      

E proprio riguardo al bilancio, è necessario fare alcune precisazioni, per le quali è vero che le “grandi” realizzano un fatturato di almeno cinque volte di quanto è annualmente incassato dal Genoa da proventi televisivi e merchandising, ma è pur vero che è talmente più elevato il loro costo del lavoro (ingaggi) che le uscite crescono in modo esponenziale superando di gran lunga le entrate. Cosicché mentre le dirigenze di Juventus, Milan e Inter investono ogni anno decine e decine di milioni di euro per ripianare le perdite di bilancio, il Genoa degli ultimi anni ha invece sempre perseguito la parità di esercizio.

Seguire la parità d’esercizio significa quindi bilanciare le uscite con le entrate, senza immettere ( cioè “investire”) importanti capitali nella società; vuol dire che la variabile del limitato bacino di utenza, invocato più volte da Preziosi, è un concetto il più delle volte strumentalizzato e distorto a proprio uso e consumo, per nascondere in realtà la ragione principale per la quale una società come il Genoa non riesce a stabilirsi a lungo nell‚alta classifica: la mancanza della volontà (o possibilità) di investire del suo presidente.

Quindi ecco che la vendita dei giocatori migliori, nel caso del Genoa, acquista purtroppo un significato completamente diverso rispetto a squadre come Napoli, Fiorentina e Lazio, dove pure le cessioni di alcuni pezzi importanti sono state fatte per ricavare risorse finanziarie allo scopo di avvicinare le entrate delle “grandi” ed investire poi di conseguenza: infatti queste squadre recitano quasi sempre un ruolo da protagonista nel nostro campionato infastidendo notevolmente le “big” tradizionali.

La vendita sistematica da parte di Preziosi di tutti i migliori giocatori della squadra assume così in quest‚ottica un mero aspetto speculativo e non certo orientato allo stabile e continuativo rafforzamento tecnico della squadra, dove la realizzazione di più di 140 milioni di euro di plusvalenze dal ritorno in Serie A, sminuisce ancor più la tesi sostenuta da alcuni sugli sforzi da lui sostenuti in termini di investimenti.

Ecco quindi che la ricerca di un imprenditore da parte della tifoseria genoana, che attui una politica maggiormente simile a quelle intraprese negli ultimi anni da Napoli, Lazio e Fiorentina, appare più che legittima.

Così come è sicuramente legittimo chiedere ad un presidente del Genoa di sviluppare il numero dei simpatizzanti in giro per l’Italia, costruendo cicli vincenti e sfruttando a livello promozionale tutte quelle prerogative che rendono il Genoa assolutamente unico nel panorama del calcio nazionale: la primogenitura assoluta in Italia, le proprie radici innestate nel Paese che ha inventato e promulgato il calcio nel Mondo, i nove scudetti e l’obiettivo della Stella aspettata da ormai da più di ottant’anni.

Tutte peculiarità che per essere sviluppate richiedono invece l’allestimento di un marketing management esperto e all’altezza di tale compito, cosa che purtroppo Preziosi ha dimostrato di non voler fare nel corso di questi anni.

Per questi motivi è lecito che i tifosi chiedano a Preziosi – in termini civili e con manifestazioni assolutamente pacifiche – di mettere il Genoa ufficialmente in vendita, favorendo l’ingresso a chi desidera investire importanti capitali nella società di calcio più antica d’Italia.

Favorire l’ingresso significa quindi chiedere a Preziosi di non speculare ulteriormente sul prezzo di vendita, avendo già tratto innegabili benefici economici e d’immagine nella gestione della società.

Significa quindi fissare un prezzo di vendita certamente non molto più alto del prezzo a cui il Genoa fu acquistato dallo stesso Preziosi nelle aule dei tribunali fallimentari, perché il valore da lui aggiunto, a quest’oggi, risulta praticamente nullo sul piano patrimoniale e decisamente modesto anche sul piano del rafforzamento tecnico sportivo della squadra, essendo la maggior parte della rosa composta da giocatori in prestito od in comproprietà.

Non è infatti pensabile che un altro imprenditore acquisti il Grifone per svariate decine di milioni di euro dovendo poi totalmente rifondare ranghi tecnici e strutture societarie.

I tifosi dovrebbero invece assumere posizioni più morbide soprattutto nei progetti che potrebbero avvicinare importanti imprenditori al Genoa.

Il nodo dello stadio è assolutamente cruciale nello sviluppo futuro di una società di calcio, ed il fatto che i genoani siano così visceralmente attaccati a Marassi non solo è comprensibile, ma fa certamente onore al loro spirito di appartenenza ad un impianto che ha lasciato una traccia indelebile nella storia del calcio italiano.

Ma se tutte le analisi tecniche dovessero in futuro confermare che il Ferraris non è più adatto a coniugare la mirabolante storia del Genoa col suo sviluppo futuro, in quel caso non si potrebbe allora chiedere a nessun imprenditore, che voglia investire capitali nel Grifone, di vivere dentro una casa che possa trasformarsi invece in una tomba.

Invito quindi tutti gli esponenti della tifoseria organizzata a svolgere una profonda riflessione su questo argomento, e sollecitare ulteriori verifiche tecniche che possano effettivamente autorizzare a pensare Marassi come legittima dimora anche negli anni a venire. In caso contrario si eviti allora di creare deleteri ostracismi che avrebbero l’effetto di allontanare chiunque abbia le potenzialità per risollevare le sorti rossoblù.

Concludo quindi invitando ancora tutti gli esponenti della tifoseria organizzata a ricreare la gloriosa “Fossa dei Grifoni”, organo che oltre ad interpretare sugli spalti l’autentico spirito del Genoa, aveva la funzione di creare un autentico valore aggiunto ai risultati sportivi della squadra, e quello di coagulare tutti i gruppi dei sostenitori in un unico e grande cuore pulsante rossoblù.

Cuore pulsante a cui il Genoa mai potrà rinunciare, per continuare a far rivivere la sua impareggiabile leggenda.

Giancarlo Rizzoglio

Autore de “La Grande Storia del Genoa” e “Il Sogno di una Stella”

giancarlo.rizzoglio@fastwebnet.it

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