Andrea Bianchi: una vita al servizio del Genoa

Il coordinatore tecnico del Genoa, con un passato nelle giovanili, ha parlato a tutto tondo del suo modus operandi: "Nella scuola calcio cerchiamo di trasmettere i nostri valori"

Mister Andrea Bianchi (fonte: sito ufficiale Genoa CFC)

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Andrea Bianchi è un uomo che ha scelto di dedicare la propria vita al Genoa. Lo si vede nel modo con cui si prende cura dell’insegnamento dei bambini a lui affidati: non è un semplice allenatore che cura gli aspetti prettamente calcistici, bensì un vero e proprio educatore per quel che concerne ogni aspetto della vita dei bimbi. Sul manto erboso dello Sciorba Stadium, piuttosto che nelle aule della Cantera Genoa sponsorizzata dalla Barabino & Partners, il signor Bianchi è una persona che più volte si è distinta per il suo impegno dell’educazione dei genoani di domani. Ecco perché va ribadito come non si occupi soltanto della parte a lui affidata (è coordinatore tecnico, impiegato nello scouting della scuola calcio), ma spazi ben oltre fino a far crescere nel modo migliore i bambini come fossero suoi figli.

Di figli, Andrea, ne ha uno. Ed è carino pensare che la Vita, vedendo con quanta cura si prende carico di quelli altrui, non abbia avuto un attimo di esitazione nell’affidargli un bambino con un particolar bisogno di attenzioni. Ne parla lui stesso: Ho un figlio disabile, Cristian, che è il mio orgoglio. Mi ha fatto il dono di poter crescere in fretta come uomo, in un percorso che non è stato facile da affrontare soprattutto all’inizio. Credo che l’integrazione per i ragazzi e le persone con disabilità passi obbligatoriamente dalla frequentazione con persone senza disabilità. E’ brutto e poco produttivo rinchiuderli in eventi organizzati tra di loro. Lo sport può aiutare all’inserimento, deve però avere una matrice inclusiva e non esclusiva, se si vogliono ottenere risultati”. Perchè in fondo la vita potrà sempre metter davanti barriere, e se non è possibile scavalcarle è quantomeno utile poter ovviare alla loro presenza.

Il suo passato in rossoblù, poi, gli ha permesso di mantenere un filo privilegiato col Genoa fino a diventarne parte integrante. A 12 anni entrò negli esordienti, il resto lo racconta lui: “Da lì ho compiuto tutta la trafila al Pio XII, l’attuale campo della prima squadra. Giovanissimi, Allievi, Berretti, Primavera. Sono cresciuto con allenatori, mostri sacri nella storia delle nostre giovanili, come Mainetto, Maselli e Perotti. Ho impresse nella mente le lunghe attese sulla pista di atletica, aspettando che si liberasse il terreno di gioco per poterlo calpestare. Ho avuto la fortuna di entrare e compagni come Murgita, Sgrò, Signorelli, Eranio e altri ancora. Nei primi anni Novanta poi sono stato aggregato alla prima squadra. Alla vista dello spogliatoio del Ferraris, la prima volta, provai un’emozione intensa, anche un po’ strana. I ricordi a cui i miei genitori sono rimasti legati, me lo dicono spesso, più che all’esordio tra i professionisti, riconducono a quando partivamo in auto per venirmi a vedere ragazzo nei tornei in cui ero impegnato”.

E’ una persona splendida, Andrea, uno che trasuda modestia da ogni poro: “L’esperienza più gratificante? Quella che sto facendo adesso, da alcuni anni. Non mi mancano le stagioni come calciatore. Nella scuola calcio ragioniamo con input collettivi, ognuno mette a disposizione le proprie conoscenze, sappiamo di lavorare con e per obiettivi comuni. Siamo un gruppo attaccato al Genoa, come frutti appesi all’albero. Cosa comunichiamo ai ragazzi? Al di là degli aspetti sportivi  – il calcio è diventato più veloce, c’è meno tempo per pensare – cerchiamo di trasmettere il senso dei nostri valori. Quelli che ci spingono a lavorare felici. Amore per la maglia, senso di appartenenza al primo posto. Giocare per i nostri colori, per i compagni, per la squadra, la società. Punti di forza da portare in palmo di mano”. Non serve dire altro, certamente.

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