Dentro la crisi societaria e di squadra del Genoa: i cento giorni che hanno trasformato le ambizioni del club. Parleremo del momento rossoblù con Beppe Nuti, giornalista di Telenord, nella 360ª puntata della rubrica di Pianetagenoa1893.net “Grifo d’Attacco”.
Le difficoltà nascono tempo fa. «Il Genoa è in caduta libera, ma non da qualche settimana: purtroppo, da mesi. Prima ancora che tecnico-tattica, la crisi è soprattutto societaria e i suoi effetti, che partono da lontano, si ripercuotono sulla squadra durante il corso della settimana. I calciatori percepiscono l’assenza di serenità e il distacco della proprietà impelagata nelle citazioni presso i tribunali statunitensi: non è un alibi, ma la mera constatazione della realtà. Forse si spiega così la recente mossa, poi rivelatasi infruttifera, del ritiro a Veronello: Gilardino voleva proteggere il gruppo lontano da Genova, ritrovare unità, ma non ci è riuscito».
Mister Gilardino ha spiegato che “questo è il massimo che possiamo fare”: pensa che sia con le spalle al muro? «Il tecnico sta cercando di fare miracoli: lo reputo il minore dei colpevoli. A Bergamo abbiamo visto un gruppo svuotato che ha subito passivamente – nessuna ammonizione – la lezione di calcio dell’Atalanta. L’unico lampo è stato di un classe 2006 imbeccato da un ex fuori rosa: Ekhator ha segnato un gol molto bello, faccio un plauso alla professionalità di Melegoni (non vedo che cosa abbia di meno Filippo rispetto a Bohinen, autore di una partita fantasma). Con il tempo, il tifoso genoano ha capito che le cessioni sono state imposte dagli Stati Uniti, ma percependo un corrispettivo inferiore al valore reale. È una profonda mancanza di rispetto verso la mole di abbonati che credeva in qualcosa di diverso».
Salvo ulteriori peggioramenti, il club non percorrerà la strada degli svincolati. «Ne sono stati proposti alcuni, tutti respinti: bisogna capire se la società è in grado di sopportare il peso di ulteriori stipendi. Mettere sotto contratto un calciatore comporta altresì il pagamento dei bonus al suo agente. Non mi sono piaciute le parole del ceo Blazquez sulle due punte da acquistare, hanno gettato sfiducia nei confronti di Vitinha e Pinamonti, che già navigano nelle difficoltà. Allo stesso modo, ho trovato fuori luogo le sue ventilate dimissioni nel caso di mancati nuovi investimenti: i problemi si risolvono con pragmatismo, senza scappare, magari facendo di tutto per un’immediata cessione totale o per quote del Genoa».
Le facce dei giocatori a fine partita parlavano chiaro. «Ho visto Vogliacco con gli occhi lucidi e Vasquez, meritatamente capitano, pieno di rabbia verso i suoi compagni di squadra che non reagivano. Più di una volta, il messicano ha detto: ci serve una parola in meno e una corsa in più per aiutare il compagno. Il linguaggio del corpo è comunque significativo, anche se ho trovato sgradevoli verso la tifoseria rimasta a Genova i grandi abbracci a fine partita: ritrovare un amico è piacevole, ma dopo un 5-1 è auspicabile che tutto ciò avvenga nello spogliatoio e non davanti alle telecamere».
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Alessandro Legnazzi e Beppe Nuti