Il piccolo grande miracolo quotidiano del settore giovanile del Genoa

Partenza stagionale distinta da alta competitività nonostante la retrocessione della prima squadra

Genoa
Genoa U18 contro U17 a Voltri nel settembre 2019 (foto di Pianetagenoa1893.net)

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Esistesse un Nobel per la sopravvivenza, il Genoa sarebbe tra i candidati illustri. Infatti i risultati magnifici che il settore giovanile rossoblù spigola da anni tra imperdonabili ristrettezze di carattere strutturale nascondono un tratto peculiare il cui studio sarebbe da demandare all’antropologia, la scienza che studia il comportamento umano. La qualità del lavoro che distingue il vivaio genoano, a tal punto da renderlo visibile agli occhi dell’Italia che conosce di calcio, non può essere spiegata soltanto attraverso il ricorso alla tattica e alla tecnica poiché uno sguardo meno distratto al dna che compone la filiera del Grifone suggerisce l’esistenza di inequivocabili tracce di capacità di adattamento unite all’istinto di conservazione. Serve questo, e non soltanto questo, se le note difficoltà sono più di una e la frammentazione del quotidiano dovuta all’assenza di un centro sportivo unificato disperde tecnici, dirigenti e ragazzi lungo la Riviera o su più campi di Genova.

Di fatto, il settore giovanile del Genoa è il centro tecnico della Liguria che seppur dislocato sul territorio lungo più succursali è ugualmente capace di coniugare la scoperta del talento ai risultati di campo: l’anno scorso il Grifone occupava l’ottavo posto in Europa nella classifica speciale dei club maggiori fruitori dei calciatori cresciuti nel proprio vivaio, erano otto mentre in questa stagione è stato impiegato soltanto Bani, dietro ad eccellenze con statuti unici come l’Athletic Bilbao (dal 1912 giocano esclusivamente baschi) e modelli giovanili esportati nel mondo come la Masìa del Barcellona. Il mare del talento rossoblù è generoso, è bene sfruttarlo con una pesca intelligente. I risultati di spicco con quattro squadre maschili, una femminile e la Primavera in vetta alle rispettive classifiche – forse non abbastanza all’altezza mediatica dell’interesse social mostrato da un lottatore americano – non mutano lo scopo sociale del vivaio: lanciare un giocatore vale un trofeo.

Così insegnava il compianto Gino Bondioli, vero intenditore di calcio la cui storia antica merita un angolo di imperitura memoria genoana, così replica il successore Michele Sbravati. Più della partita, è l’allenamento che svela la bravura del calciatore illuminando angoli di visuale che le tecnologie e i video hanno appiattito, se non cancellato. Viaggiare, battere più campi e meno tastiere, ascoltare il territorio e non gli algoritmi, conoscere le difficoltà. Ciò per consegnare ai tecnici del Genoa dei ragazzi da crescere in un contesto di ascendente linearità calcistica nel quale emergono due tratti peculiari, come due sono gli attaccanti che gli allenatori del vivaio pongono sempre in campo: la trasmissione degli insegnamenti e l’identità di gioco come principale similitudine tra le leve, quest’ultima modulata sul comando propositivo della partita a seconda delle caratteristiche dell’organico. Il prodotto è eccellente sebbene l’eccezionalità dei risultati non sarà mai un’abitudine per il candidato al Nobel per la sopravvivenza.

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