Quando Ballardini vuole un risultato, il Genoa se lo prende. Le redini del Grifone sono saldamente in mano al tecnico lughese, capace di dare in poco tempo una colonna vertebrale a una squadra che fino a novembre sembrava essere allo stato liquido. Ci è riuscito ottenendo la disponibilità di tutto il gruppo rossoblù, ci è riuscito con il sorriso e la voce pacata che solitamente usa in conferenza stampa. In panchina, a volte, si trasforma alzando un pugno al cielo indirizzato a chi sbaglia od omette qualcosa: per fortuna che gli occhiali neri, talvolta, nascondono degli occhi minacciosi.
Ballardini è il Genoa delle ultime sette partite di campionato: una squadra pragmatica, difficile da arare come la terra di Romagna. Agli avversari non piace giocare contro un Grifone così grintoso e organizzato in fase difensiva. E la media punti, non a caso, ringrazia: dodici punti in sette partite, il doppio del bottino arraffato da Juric ma nella metà del tempo. Non c’è dubbio, la scelta Ballardini è corretta. I detrattori dicono che sia più fortunato che bravo tatticamente senza sapere, tuttavia, che la dea bendata va corteggiata e non provocata: inoltre, da un punto di vista storico, il Genoa sarà sempre in credito con buona sorte.
Perciò ben venga un “generale fortunato” rispetto a uno bravo, proprio come diceva Napoleone, quando occorre salvare il Genoa. Il bel gioco lo lasciamo agli altri. A Torino un super Perin, supportato dal resto della difesa, è stato l’arbitro del punto della conciliazione: il Toro bravo ad attaccare, il Grifo a resistere, quindi posta in palio a metà. Contro il Benevento, invece, ci aveva pensato Lapadula a guadagnare il rigore della vittoria e infilarlo in rete. Assoli, sì, ma di componenti del coro. E allora ben venga il quarto 0-0 dell’anno, un risultato sicuramente non troppo lontano da quello voluto da Ballardini e guadagnato dal suo Genoa.