Nel 1950 il Genoa batte la Triestina per 6-2 grazie alle quattro reti di Boyé

Nel 1950 il Genoa batte la Triestina per 6-2. Questa la formazione che scese in campo quel giorno: Gualazzi, Pellicari, Becattini, Castelli, Cattani, Fusari, Dante, Formentin, Boyè, Alarçon, Magni. E’ Mario Boyé il vero protagonista dell’incontro: schierato centravanti per l’indisponibilità di Aballay, va a segno ben quattro volte (precisamente al 52′, al 59′, al 85′ […]


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Nel 1950 il Genoa batte la Triestina per 6-2. Questa la formazione che scese in campo quel giorno: Gualazzi, Pellicari, Becattini, Castelli, Cattani, Fusari, Dante, Formentin, Boyè, Alarçon, Magni.

E’ Mario Boyé il vero protagonista dell’incontro: schierato centravanti per l’indisponibilità di Aballay, va a segno ben quattro volte (precisamente al 52′, al 59′, al 85′ e al 87), ma una sua rete in particolare lascerà un segno indelebile nella memoria dei tifosi rossoblu: Alarçon con un pallonetto scavalca un avversario indirizzando la sfera verso Boyè che si trova poco lontano da lui sulla tre quarti, lato tribune, ad una quarantina di metri in diagonale dalla porta avversaria, situata sotto la Nord. Sorprendendo tutti, l”Atomico’ calcia al volo di destro trasformando quell’innocuo pallone in un proiettile che vola verso l’alto, scendendo poi di colpo per infilarsi velocissimo in porta, sfiorando la traversa nel ricadere dall’alto. Una prodezza balistica fuori dal comune, imparabile per il portiere, entusiasmante per i tifosi, nell’antico e glorioso Ferraris dove il calcio italiano è diventato adulto e i tifosi genoani hanno visto giocare tanti campioni e segnare goal spettacolosi, una rete così non s’era mai vista.

Boyé era appena arrivato nel Genoa dal Boca Juniors e si era presentato a Livorno per un’amichevole estiva, segnando subito 5 reti: un biglietto da visita che non aveva lasciato dubbi, poiché la Società aveva trovato il fuoriclasse che cercava.

In quel campionato Boyé confermerà le sue doti eccezionali, entrando a tempo di record nel ristretto numero di sudamericani da leggenda che abbiano vestito la maglia rossoblu.

Poi a sorpresa poche settimane dopo ritornerà, in salutato ospite, nella sua Buenos Aires, che a quei tempi era una capitale del mondo in cui il ‘futbol’ era favola da vivere con talento e creatività.

A Genova diranno che è stata tutta colpa della moglie Elsa, una bellissima donna che non poteva vivere lontano dai salotti mondani e dalle amicizie galanti di Baires, e c’è del vero.

Ma c’è un’altra ragione meno mondana e più legata a ragioni interiori: Boyé era abituato agli importanti palcoscenici del calcio sudamericano ed era forse in cerca di una consacrazione internazionale che ancora non aveva; forse credeva di venire in Italia per giocare in una squadra che lottasse per il primato e caratterialmente non sopportava la mediocrità nella quale purtroppo il Genoa stava scivolando inconsapevolmente anno dopo anno durante il dopoguerra.

Come confesserà a Vittorio Pozzo poco prima della sua fuga in Argentina, Boyè in quei pochi mesi genovesi si era intristito e aveva perso la gioia di giocare a calcio: era stato il Genoa a renderlo infelice più che i capricci della moglie.

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