Il Campionato 1919/1920, il primo dopo la Grande Guerra, prevedeva che la squadra settentrionale giungesse alla Finalissima nazionale contro la vincente centromeridionale dopo avere disputato ventidue partite (dieci – con incontri di andata e ritorno – in uno degli otto gironi regionali – tre lombardi, due piemontesi, uno ligure, uno veneto, di cui faceva parte la squadra dell’Udine, visto che tale città era ancora compresa in quella regione, ed uno emiliano, a cui era stato associato il Mantova – a sei squadre; dieci – con partite di andata e ritorno – nei successivi tre gironi interregionali ancora a sei squadre, le vincenti dei quali si affrontavano in un girone con incontri di sola andata da giocarsi sul campo neutro della formazione in quella domenica non impegnata).
Il Girone Finale con tale cervellotica idea federale era una «bomba ad orologeria» che non avrebbe tardato ad esplodere fin dalla prima partita (Genoa-Juventus), in programma sul “Campo dell’Internazionale” domenica 16 maggio 1920, a cinque anni esatti e sullo stesso terreno di gioco in cui con l’inopinata – secondo i pronostici dell’epoca – vittoria per 3-1 sui neroazzurri il Genoa aveva «ipotecato» la conquista del Campionato poi interrotto per l’entrata in guerra dell’Italia. Se si considera che nel secolo successivo a quell’incontro in campo neutro a Milano, il Genoa è finito davanti alla Juventus in classifica solamente undici volte (con un «filotto» di cinque nei successivi campionati e poi nel 1927/1928, nel 1929/1930, nel 1938/1939, nel 1941/1942, nel 1955/1956 – per migliore differenza reti a parità di punti – e nel 1990/1991), risulta non facile comprendere il titolo dato da “La Gazzetta dello Sport”, (nel resoconto il suo redattore Cesare Fanti definì gli sconfitti i «favoritissimi» e il team vincitore l’estremo «outsider») lunedì 17 maggio. Le finali si iniziano con una clamorosa sorpresa. Juventus batte Genoa: 3-2. Bisogna, però, considerare che la squadra di calcio più antica d’Italia stava vivendo i migliori anni della sua vita sportiva, mentre la famiglia Agnelli avrebbe fatto nel sodalizio bianconero il suo ingresso, che «spostò gli equilibri» non solo nei confronti del Genoa, tre anni dopo. La vittoria della Juventus in quella drammatica partita fu «figlia» della fortuna (il giornale torinese “La Stampa” scrisse “Diremmo anzi che, se Santamaria [I] fosse rimasto in campo, il match sarebbe finito con un risultato diverso. […] Ma la fortuna è mancata ai rosso-bleu. Sicuramente se vi fu in campo una squadra fortunata, questa non fu quella del «Genoa».”) e di uno sportivo «cinismo» a sfruttare le occasioni da rete inferiori a quelle avute dagli sconfitti (la «rosea» scrisse “noi siamo certi che gli stessi juventini, lasciando il campo, fossero persuasi della netta superiorità avversaria.”).
Agli ordini del signor Mario Varisco di Milano (che aveva affidato i ruoli di guardalinee a Mario De Simoni I, il portiere della prima Nazionale Italiana esordiente centodieci anni e un giorno fa, in cui l’arbitro della contesa tra rossoblù e bianconeri, suo compagno di squadra nell’Unione Sportiva Milanese, aveva giocato terzino destro, ed ancora nel 1920 estremo difensore della «terza forza» del calcio meneghino, e ad Augusto Cameroni I, portiere del Legnano con una presenza nella Nazionale Italiana, e di giudice di porta agli arbitri Giuseppe Grossi e Severino Cattaneo) l’attesissimo incontro iniziò alle ore 15:20 di fronte a spalti gremiti con prevalenza numerica di tifosi rossoblù, provvisti di trombe, trombette, sirene automobilistiche e raganelle, e con quelli neroazzurri schierati a favore della Juventus, dai pronostici ritenuta meno competitiva (giova ricordare che il Genoa aveva ottenuto nei due gironi eliminatori diciotto vittorie e due pareggi, l’Internazionale quindici vittorie, quattro pareggi ed una sconfitta e la Juventus quattordici vittorie, cinque pareggi ed una sconfitta).
La prima metà del primo tempo fu contrassegnata da un netto predominio degli uomini guidati dall’inglese «Mister» William Thomas «Billy» Garbutt, schierati con maglia bianca e fascione orizzontale rossoblù con al centro lo stemma civico, che ottennero subito due calci d’angolo: il primo fu a seguito di un gran tiro di Celeste «Enrico» Sardi I deviato sul fondo dal portiere Giovanni Giacone, cinquantacinquesimo esordiente nella Nazionale Italiana – ex aequo con Carlo «Carlitto» Ghigliano del Genoa e Leopoldo «Poldo» Conti e Giuseppe Asti dell’Internazionale – e primo in rappresentanza della Juventus nella partita persa a Berna 0-3 contro la nazionale rossocrociata sabato 28 marzo 1920, a cui sarebbero seguite altre tre consecutive presenze a difesa della porta degli Azzurri, a cominciare dal pareggio per 1-1 contro l’Olanda di tre giorni prima a Genova nella festività dell’Ascensione di Gesù Cristo; il secondo, battuto rasoterra al 3’ da Angelo «Baletta» Dellacasa I, venne sfruttato con la consueta astuzia da Emilio Aristodemo «Maia» Santamaria I (a cui, nonostante le precarie condizioni fisiche, Garbutt non aveva voluto rinunciare) per sbloccare il risultato. Dopo questo primo successo i genoani cercarono di consolidare il risultato con un gran tiro di Celeste «Enrico» Sardi I al 10’, parato con difficoltà a terra da Giacone, che si fece trovare pronto a deviare sul fondo anche le insidiose conclusioni di Sardi I al 23’ e Santamaria I al 24’ (un minuto dopo la talentuosa mezzala sinistra, che alcuni minuti prima aveva subito da un avversario un intervento assai rude, dovette definitivamente lasciare il terreno di gioco), cui fece seguito un tiro di Sardi I che si stampò contro la traversa. Ridotto in dieci uomini (il regolamento dell’epoca non contemplava le sostituzioni), il Genoa dovette subire la controffensiva bianconera, che costrinse il portiere Valerio Felice «Cino» Terzi a due grandi interventi prima di dover capitolare due volte nel giro di sei minuti, prima per un calcio di rigore (concesso per una spinta di Ottavio Barbieri al centravanti Pio Ferraris) al 33’ e poi per un diagonale rasoterra di sinistro non forte, ma preciso, al 39’ (di entrambe le reti fu autore Lorenzo Valerio «zio Bomba» Bona). Nei minuti finali ci furono ancora due forti tiri juventini in porta (uno di Bona e l’altro di Pio Ferraris) ed uno genoano di Sardi I, ben parati dai due portieri.
All’inizio della ripresa la Juventus andò vicinissima alla terza segnatura con un colpo di testa di Giuseppe «il Notaio» Giriodi, su calcio d’angolo battuto da Rinaldo Varalda, ben respinto da Terzi, ma poi si scatenò l’offensiva del Genoa, che, incurante dell’inferiorità numerica. Gli uomini di Garbutt, dopo essersi visti negare la rete del pareggio da una grande parata di Giacone su tiro di Guglielmo Brezzi, lo raggiunsero al 14’ con Sardi I in un’azione del tutto simile a quella del primo goal con tiro dalla lunetta del calcio d’angolo di Giacomo Bergamino II. Spinto dall’entusiasmo, il Genoa continuò ad assediare la porta di Giacone, che si oppose da par suo in particolare nell’azione da cui partì la rete che decise l’incontro a favore della Juventus, quando Guido «Biscutin» Marchi II lanciò in contropiede lo scatenato Bona, il quale, partito dalla sua metà campo, dopo aver scambiato il pallone con Varalda, ricevendolo in posizione forse irregolare (secondo il regolamento dell’epoca dovevano esserci tre giocatori più vicini dell’avversario alla porta), si presentò in solitudine davanti a Terzi, fattoglisi incontro, e fu abile a trafiggerlo (questo secondo la descrizione di “La Gazzetta dello Sport”, mentre per “La Stampa” l’autore della rete, smarcato da Bona, che aveva attirato su di sé due avversari, era stato Pio Ferraris; bisogna considerare che fino al Campionato 1938/1939 compreso i giocatori non avevano i numeri sul retro delle maglie) al 26’. A quel punto, il Genoa, costretto a giocare «il tutto per tutto» spostò nel ruolo di mezzala sinistra, occupato nei primi venticinque minuti del primo tempo da Santamaria I, Lorenzo «Renzo» De Vecchi (la posizione in campo più amata da «il figlio di Dio», che, però, doveva la sua fama alle sue mirabili interpretazioni del ruolo di terzino sinistro), lasciando dietro la linea dei tre mediani e davanti al portiere il solo Ghigliano, che doveva guardare «a zona» le due mezzali avversarie, visto che con lo schema del «Metodo» i mediani marcavano «a uomo» le ali).
I rossoblù ottennero due calci d’angolo consecutivi (alla fine ne sommarono dieci), sul secondo dei quali, tirato al 33’ da Dellacasa I, si scatenò “la scena madre” della giornata: un pallone indirizzato verso la porta venne respinto con un braccio dal terzino destro bianconero Osvaldo Novo, ma il fallo non rilevato dall’arbitro (non aiutato dal giudice di porta, di dubbia utilità come quelli… di novant’anni dopo!) oppure da lui giudicato involontario, e sulla ripartenza Bona venne steso in area di rigore da Ghigliano, mentre stava per scoccare il tiro in porta (visto che nelle cronache c’è scritto che la Juventus terminò in dieci l’incontro, è ipotizzabile che la partita del migliore uomo in campo sia finita con quel capitombolo che lo lasciò a terra per diversi minuti). Varisco decise «pilatescamente» di non concedere la massima punizione alla Juventus, ma, vista l’interruzione del gioco per l’infortunio a Bona, si scatenarono nei suoi confronti le proteste delle due squadre, particolarmente veementi da parte di Dellacasa I, che gli rivolse insulti e minacce che gli costarono l’espulsione, che l’ala destra genoana non accettò, rifiutandosi di lasciare il terreno di gioco. A quel punto si verificarono scontri violenti tra i tifosi delle due squadre, non pochi dei quali invasero il campo, tanto che la partita venne sospesa per una quindicina di minuti con Varisco, i suoi collaboratori e i calciatori che rientrarono «a gambe levate» negli spogliatoi. Un dirigente neroazzurro per riportare la calma negli animi esacerbati degli invasori di campo ebbe la felice idea di salire su una sedia e di improvvisare un sermone in cui si richiamò alla tragedia di Viareggio di due settimane prima, quando il guardalinee Augusto Morganti era stato la prima vittima della violenza negli stadi di calcio italiani. Grazie anche alla fattiva collaborazione del presidente del Genoa, lo scozzese George «Geo» Davidson, e dell’alto dirigente rossoblù e federale (era vicepresidente), lo svizzero – nato a Genova – Edoardo «Dadin» Pasteur I, si crearono le condizioni per riprendere la partita. I giocatori della Juventus, che erano in debito d’ossigeno, trassero beneficio dall’imprevista sosta e riuscirono a resistere all’assedio finale degli avversari, ridotti in otto uomini dalla defezione di Giovanni Battista «Baciccia» Traverso in segno di protesta nei confronti dell’arbitro, che guadagnarono altri due calci d’angolo e si videro negare il pareggio da due parate di Giacone su conclusioni di Sardi I e Brezzi.
Il Genoa fece ricorso alla F.I.G.C. – da essa rigettato – contro l’omologazione del risultato dell’incontro, adducendo la sovreccitazione dell’arbitro, che gli aveva impedito di cogliere la volontarietà dell’intervento falloso a pochi metri dalla porta di Novo, rilevata dai due guardalinee della partita.
La domenica successiva i tifosi del Genoa si schierarono a Marassi ovviamente a favore dell’Internazionale, la vittoria della quale (ottenuta per 1-0, nonostante l’inferiorità numerica derivante dall’infortunio dopo venticinque minuti di gioco occorso ad Aldo «Cevenna» Cevenini I) sulla Juventus era l’unico risultato che teneva ancora vive le speranze rossoblù di vittoria del Campionato. Si vide in tribuna anche un pupazzo con le fattezze di Varisco che venne prima fatto oggetto di insulti e poi di un’impiccagione simbolica, che costò al Genoa una multa di 500 lire e una squalifica del campo fino a domenica 31 ottobre 1920 compresa, poi amnistiata come quella a Dellacasa I (che sarebbe terminata venerdì 31 dicembre 1920) per l’elezione a presidente della Federazione Italiana Giuoco del Calcio dell’ing. Francesco Mauro.
Si ipotizzò di giocare, come era stato previsto, domenica 30 maggio 1920 a Torino sul “Campo della Juventus” l’incontro Internazionale-Genoa, al limite «a porte chiuse», ma il sodalizio bianconero, temendo ritorsioni dei suoi tifosi ai danni di quelli genoani, fece pressioni perché tale partita non avesse luogo (la chiusura al pubblico dell’impianto avrebbe richiesto il dispiegamento di un notevole quantitativo di forze dell’ordine, alle quali in quel periodo così travagliato della storia italiana non mancava certo il lavoro). Venne così deciso di giocare la partita tra neroazzurri e rossoblù domenica 6 giugno a Modena con l’onere dell’organizzazione dell’incontro affidato alla Juventus. Privo dello squalificato Dellacasa I e dell’infortunato Santamaria I, il Genoa non riuscì ad andare oltre l’1-1, che schiuse all’Internazionale la porta della conquista del secondo titolo nazionale, avvenuta in virtù della vittoria per 3-2 sul Livorno nella finalissima nazionale disputata due domeniche dopo a Bologna.
TABELLINO
Milano, domenica 16 maggio 1920,
Stadio “Campo dell’Internazionale”, ore 15,20
Juventus-Genoa 3-2 [I giornata del Girone Finale dell’Italia Settentrionale del Campionato Italiano di Prima Categoria 1919/1920]
Spettatori: 10mila circa
Arbitro: Varisco [Milano]
Marcatori: nel 1° tempo al 3’ Santamaria I (G), al 33’ Bona (J) su rigore, al 39’ Bona (J); nel 2° tempo al 14’ C. Sardi I (G), al 26’ Bona (J)
Juventus: Giacone; Novo, Bruna; Masera, Marchi II, Mattea I; R. Varalda, Giriodi, P. Ferraris, Bona, Marchi I. Allenatore: ?
Genoa: Terzi; Ghigliano, R. De Vecchi; O. Barbieri, Bergamino II, G.B. Traverso I; Dellacasa I, C. Sardi I, Brezzi, E. A. Santamaria I, Bergamino I. All.: Garbutt
Note: al 20’ circa del 1° T. Santamaria (G) si infortuna e, dopo essere rientrato in campo, al 25’ del 1° T. abbandona il terreno di gioco, lasciando il Genoa in dieci. Al 33’ del 2° T, viene espulso Dellacasa I (G) e si creano incidenti in tribuna con i tifosi che entrano in campo, dove proseguono le scazzottate, e l’arbitro con i suoi collaboratori e i giocatori che fuggono negli spogliatoi per fare ritorno in campo dopo circa un quarto d’ora con le eccezioni di G.B. Traverso I (G), la cui defezione in segno di protesta lascia la sua squadra con soli otto giocatori, e di un giocatore della Juventus (probabilmente Bona) infortunato. Il Genoa presenta ricorso – che verrà rigettato – alla F.I.G.C. contro l’omologazione del risultato dell’incontro, adducendo la sovreccitazione dell’arbitro.
Stefano Massa
(membro del Comitato Storico Scientifico del Museo della Storia del Genoa)