Un Juric-bis potrebbe esser la soluzione migliore?

Mandorlini convince poco: potrebbe essere utile richiamare il tecnico croato per cercare di salvare la stagione del Genoa

Ivan Juric (Getty Images)

La solitudine di Preziosi nel bel mezzo di una tribuna autorità deserta (metaforicamente, potrei definirla tale alla stregua dei possibili acquirenti della società). Lo striscione “Il Genoa non ha padroni, il Genoa è dei genoani” che campeggia esattamente dietro i pali difesi non dal gregario Lamanna, bensì dal redivivo Rubinho. E’ una scritta rossa e blu, inframezzata dal volto del Prez sbarrato. Fissandola attentamente, pare l’ultimo fiotto di sangue che esce dal cuore di una Nord addolorata, intristita, già ferita e ieri colpita a morte per l’ennesima volta. Come dargli torto, del resto? La contestazione c’è, esiste, non si nasconde e nemmeno ieri ha fatto mancare il suo apporto. Legittima o illegittima, non sta a me stabilirlo. In compenso, sul campo la situazione pare peggiorar di settimana in settimana. Ed è con grande dolore che parlerò di una partita davvero brutta.
Sul mio articolo di ieri avevo annunciato come l’entusiasmo dell’Atalanta avrebbe potuto esser stato decisivo, al pari del nostro quando ci stavamo giocando l’Europa in una caldissima domenica del maggio 2015. Se possibile è stato pure peggio, aggiungo adesso col senno del poi: una manita. Uno 0-5 di dimensioni enormi: Gomez è sembrato Iago Falqué in quanto a imprevedibilità e cinismo (tre reti, per il Papu: su rigore, con un tap-in e infine in anticipo su Burdisso), a Conti è riuscita una rovesciata spettacolare, la pericolosità di Caldara sulle palle inattive non la scopriamo certo adesso. Ma al di là di tutto questo, c’è un altro lato della medaglia che mi preoccupa assai. Punto uno: Rubinho ha effettuato almeno due parate di gran fattura. Punto due: Kessié ha colpito un palo. Punto tre: hanno corso più di noi. Hanno concluso 16 volte verso la nostra porta, di cui 13 nello specchio, hanno vinto una quantità incredibile di duelli a metà campo (e si sa, se sei carente nella zona nevralgica i tuoi difensori soffrono e i tuoi attaccanti spariscono dal gioco). Il loro predominio territoriale al Ferraris è stato quantomeno imbarazzante, specie in virtù del fatto che davanti a loro, in campo, c’era un undici molle, disordinato, incapace di offendere. I commenti sono gli stessi da qualche mese: non si tira, non si segna, non si crea. E purtroppo, ma ormai ci stiamo abituando, sempre meno garra. L’unico lato positivo, volendo proprio trovarne uno, è la prima volta insieme di Morosini e Beghetto: da loro si può ripartire, eccome.
Menzione speciale va a Mauricio Pinilla. Nel match che ho descritto ieri, quello all’Atleti Azzurri d’Italia, Pinigol (che allora giocava in maglia nerazzurra) aveva combinato le seguenti cose: rigore trasformato, salvataggio sulla linea di porta su Bertolacci, clamorosa occasione sciupata, parte alta della traversa scheggiata a porta praticamente indifesa. Ieri, in maglia rossoblù, il suo apporto è riassumibile in un minuto: tra 60′ e 61′, infatti, il cileno prima è franato addosso a Berisha guadagnandosi il giallo, poi ha platealmente mandato a quel paese Gavillucci che non ha esitato a tirar fuori il secondo. Doccia anticipata, per colui che nelle intenzioni iniziali avrebbe dovuto far rimpiangere il meno possibile un tal Leonardo Pavoletti. Si capisce bene come il confronto sia, ahimè, davvero crudele. Mauricio è un lontano parente della punta ammirata sempre qui tra settembre e dicembre 2014 (anche se in fondo Gasp gli preferì Matri, ad un certo punto). Si impegna ma va ad intermittenza come un vecchio neon quasi esausto, talvolta conclude in porta ma a parte il gol in Coppa Italia alla Lazio non riesce ad incidere. Continuando di questo passo, svaniranno mestamente le mie speranze in una sua rovesciata sotto la Nord. E già che ci siamo, non vi sarà difficile comprendere come, una volta espulso il cileno, il Grifo (che già era sotto di due reti) sia crollato sino a prendere i cinque schiaffi.
L’ultimo paragrafo voglio dedicarlo ad una considerazione, che mi è tornata a mente ripensando alla risposta che un lettore mi aveva proposto qualche tempo fa. “Una soluzione potrebbe essere richiamare Juric e convincere i giocatori che se si vogliono vedere risultati bisogna lavorare molto e sacrificarsi, soprattutto se non si è dei fenomeni e lasciare fuori squadra quelli che non vogliono farlo”. La sconfitta di Pescara, identica nel punteggio, è stata peggiore di quella di ieri per un paio di ragioni: non solo il valore dell’avversario e la location che ci ha visti ospiti all’Adriatico, ma anche il fatto che sia stato la prima disfatta (un ko così può starci, quando si stacca la spina le conseguenze sono spesso drammatiche). Detto questo, Mandorlini convince poco: il suo calcio non si sposa per nulla con questo Genoa. E premesso che nessuno è in grado di sapere quelle dinamiche da spogliatoio che sono alla base di una rapida e decisa involuzione come questa, siamo sicuri che un Juric-bis non possa esser la soluzione migliore? Ci pensi, presidente Preziosi. Siamo virtualmente salvi, il derby è perso, non c’è nulla che potrebbe andar più storto di così. O almeno, me lo auguro.
Matteo Albanese
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