Controcronaca: bring that Genoa back!

Appunti e considerazioni sulla gara di ieri, pensando a quella di andata al Ferraris stradominata dal Grifone sul Milan

Festeggiamenti del Genoa per il 2-0 su autogol di Kucka: gara del 25 ottobre 2016 al Ferraris (Foto Getty Images)

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“Vogliamo chiarezza” affermava uno striscione presente sabato sera a San Siro. Ma colpisce che non sia stato esposto dai tifosi genoani, anche se ne avrebbero ben donde, bensì dai colleghi milanisti, i quali si trovano alle prese con un closing che subisce rinvii, smentite, controsmentite e puntualmente non arriva mai quasi come Godot nella celeberrima opera teatrale di Samuel Beckett. Così come non arriva mai l’ora del Genoa, ieri ko a San Siro dopo una partita che ha messo in luce tutti gli evidenti limiti del Grifone. Limiti che, ed è questo che preoccupa maggiormente, non stanno solo sul piano mentale ma arrivano perfino a toccare quello tecnico/tattico. Il Grifo sta male, e la cura pare assai lontana. Il medico Juric aveva perso la fiducia del paziente ancor prima di quella del primario Preziosi, con quest’ultimo che aveva optato per il dottor Mandorlini, pur se sgradito ai parenti più stretti del malato (i tifosi). Il paziente, inoltre, aveva deciso di stoppare la cura prescrittagli dallo specialista croato ed era andato in contro alla più forte delle ricadute (ovvero, 5-0 dell’Adriatico). Inizialmente il cambio di medico aveva sortito qualche effetto, dando al malato e ai suoi parenti un barlume di speranza: sembrava che le cure funzionassero. Col senno di poi, posso affermare con certezza che si sia trattato di un minimo effetto palliativo, che abbia soltanto reso le cose momentaneamente migliori.

La malattia non è passata, perchè alla prima vera occasione in cui è stato tentato di debellarla (il derby), se n’è uscita più forte e agguerrita come non mai. L’ambiente Milan arrivava dalla polemicissima sconfitta contro la Juve, quello rossoblù era reduce da un derby perso e giocato male. I presupposti motivazionali c’erano da entrambe le parti. Il buon Mandorlini, peraltro dichiarato interista, ha confermato Ntcham nonostante l’errore che era costato i tre punti nella stracittadina, optando per un 4-3-3 con Hiljemark interno e Cataldi in cabina di regia. Ma vincerà il Milan, ossia l’unica squadra presentatasi in campo. Pur con 7 assenze più quella dopo 3′ dell’ex Bertolacci, Montella ha preparato la partita in modo semplice ed efficace: confermando il 4-3-3, schierando inizialmente Ocampos a destra e la catena Deulofeu-Fernandez a destra, spostando poi gli ultimi due sul lato mancino dove Laxalt propriamente terzino non è. Segnalo un Cataldi sempre abulico e una grandissima prova di Izzo con annesso salvataggio sulla linea a far rimanere proprio l’ex numero 11 genoano con l’urlo strozzato in gola. Lazovic e Taarabt insufficienti: il primo ha combinato davvero poco, il secondo ha creato ma ha sprecato puntualmente tutto il buono fatto. Chi è peggio, tra i due? Il marocchino, che ha avuto due chance nitide per portar in vantaggio il suo Grifo nei primi minuti, oppure il serbo, in evidente e purtroppo continua involuzione (pare tornato il Darko dell’era Gasperini, quello che non azzeccava i cross nè saltava il diretto avversario)? Quanto al piano psicologico, diventa essenziale rifondare le certezze di un gruppo che aveva cominciato alla grande la stagione. Non è un caso che l’inizio scoppiettante sia coinciso anche con l’incontro di Preziosi ai Magazzini del Cotone con la tifoseria genoana, come non è un caso che l’accurata preparazione di Juric abbia fatto la differenza nei primi impegni stagionali (contro Cagliari e Crotone, ad esempio). E da un punto di vista prettamente teorico, questa rosa non avrebbe avuto nulla d’inferiore rispetto a quella di Perotti e Falqué: è la motivazione che, nei primi mesi del 2015, consentì al Grifo di realizzare quelle straordinarie performances contro Inter (3-2), Milan (1-3), Torino (5-1) e Atalanta (1-4) su tutte. La motivazione, quella se n’è andata progressivamente e ancor più con la sessione invernale di calciomercato, e non tanto per le cessioni di un Pavoletti (in fondo Simeone aveva più volte raccolto l’eredità del livornese con successo) o di un Rincón che nemmeno stava facendo la sua miglior stazione. Ci sono dinamiche da spogliatoio, oscuri segreti che rimangono naturalmente all’interno delle segrete del Signorini di Pegli, che purtroppo non trapelano oltre. Una sorta di patto non scritto è quello che consente ai giocatori di far gruppo e centrare un’Europa League toccata con un dito e poi persa per colpa della grana relativa alla Licenza Uefa. Una sorta di patto non scritto può anche esser quello che porta a prestazioni volutamente orripilanti con l’unico fine di indurre il presidente a silurare il tecnico, evidentemente non più gradito. E’ successo a Leicester, figuratevi a Genova…

Proprio mentre scrivo, nelle cuffie ho Steve Angello e un suo set di qualche tempo fa. Uno dei pezzi al suo interno è quello in collaborazione con Still Young, “Follow me”. Il titolo di questo articolo è proprio dovuto al testo della suddetta canzone, che ad un certo punto fa “bring that beat back”. E così, sommerso tra un periodo di onirica utopia in cui il Genoa va bene e i ritmi scanditi dal metronomo del dj svedese, ho deciso di dare voce al mio pensiero dopo un Milan-Genoa assurdo. Sui social impazzano commenti sugli ultimi istanti del match, quelli in cui anziché sfruttare la fisicità di Pinilla (entrato da poco, dunque fresco), e la presenza accanto a lui di Simeone, si è preferito impostar di nuovo dalla difesa tornando indietro. Non è questo il Genoa che vogliamo, urlano in coro dalla tifoseria. Severo, ma giusto. E che non ci vengano a dir roba del tipo “se non ami il Grifo quando perde, non puoi amarlo quando vince”.

Ultimissima cosa: mi vengono quasi le lacrime a ricordare com’eravamo esattamente un girone fa. Genoa-Milan 3-0. Eravamo bellissimi. Ninkovic che dopo poco più di 10 minuti segnava di testa e poi scivolava sulle ginocchia sotto la curva che aveva appena capito di aver tra le mani un talentino (alla prima da titolare, dopo un paio di ottimi spezzoni). Un Pavoletti appena rientrato dall’infortunio che ad un certo punto rilevava Simeone e la bilancia cominciava a pendere dalla parte rossoblù: prima propiziava l’autorete di Kucka, poi si metteva in proprio ed evidenziava al mondo i limiti di Romagnoli sbeffeggiandolo prima di trafiggere mortalmente Donnarumma. Eravamo fantastici, sognavamo forse l’Europa e potevamo permettercelo. Anche allora eravamo reduci da un derby perso, e nemmeno giocato così bene, ma la reazione fu forte. E ancor meglio, ce ne fu una. Pertanto, è con estremo dispiacere che imploro ogni individuo che possa far qualcosa per migliorar le cose. Bring that Genoa back!

Matteo Albanese

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