Ancora una Caporetto per il Genoa: si spera che arrivi una Vittorio Veneto

A Udine un'altra disfatta per Mandorlini, con un clima di contestazione dei tifosi contro Preziosi e la squadra. Resta la speranza, al momento dal sapore utopico, che ci sia un'inversione di rotta

Morosini contrasta Hallfredsson (foto Dino Panato/Getty Images)

Non ha usato mezzi termini, il direttore Marco Liguori, per descrivere l’ennesima brutta figura del Genoa. “Caporetto”, viene definita l’ultima di una lunghissima serie di disfatte pesantissime e sconfortanti. Se ben ricordo, lo stesso termine fu usato dal direttore di Pianetagenoa1893.net non solo la settimana scorsa, quando l’Atalanta surclassò un Grifo tremendamente impaurito (5-0, sigh), ma anche in occasione di un Genoa-Alessandria di Coppa Italia. Lo ricordate? Era il 15 dicembre 2015, così tanto lontano (se andiamo a scorgere i nomi in rosa), eppure così vicino (se consideriamo l’atmosfera che regna a Genova). “Preziosi quaquaraquà” e “Gasperini taci e allena” erano i due striscioni maggiormente esplicativi che comparvero nella Gradinata Nord durante quel periodo burrascoso: la frattura era ormai in corso, niente avrebbe fatto pensare a riappacificazioni. Che invece ci sono state all’inizio di questa stagione, con l’incontro ai Magazzini del Cotone in cui il patron rossoblù avrebbe scoperto il velo sui conti del Genoa chiedendo perdono per l’affaire-licenza Uefa che tanto è indigesto ancor oggi.
Tutto aveva avuto inizio dal quinto posto con annessa “vittoria mutilata”: mi perdoni Gabriele D’Annunzio per l’impropria citazione, ma la situazione odierna è tragica. Dopo quel meeting la situazione si è rasserenata, le nubi improvvisamente diradate, il veliero rossoblù salpava per vari porti incutendo timore a chiunque incontrasse sulla propria rotta. Oggi, di quella maestosa imbarcazione non resta che la carcassa, quasi impossibilitata a salpar per mare al pari di quell’ammasso metallico ch’era la Concordia. Nel frattempo, i migliori ammiragli e il General se ne sono andati, convinti non solo economicamente da altri equipaggi e magari consapevoli che da lì a poco il vascello avrebbe accusato qualche falla. Alla luce di quanto accaduto da gennaio ad oggi, il loro è stato un gesto saggio. Una tempesta si è abbattuta in tutta la sua potenza su una ciurma povera sia d’esperienza che di grinta: tutto ciò è costato il posto ad un abile condottiero croato (in nome di un tale capitano ravennate, che tuttavia non pare esser in grado di metter freni ad una situazione di anarchia).
E’ una storia ancor in essere: il luogo dove sono avvenute le gesta di tale veliero non è il Galata, Museo del Mare, bensì l’entroterra e in particolar modo là dove il corso del Bisagno è oramai parallelo al campo da gioco inaugurato nel maggio del 1911. Ieri pomeriggio la ciurma del Vecchio Balordo non era lì, dove una settimana fa era crollata sotto i colpi di un gruppo di giovani bucanieri guidati da un ex capitano che qui a Genova conoscono bene, Gigi Delneri. Era ad Udine, quindi non propriamente sulla costa. Tre sono state le mortifere palle di cannone che hanno affondato la derelitta imbarcazione di capitan Mandorlini: un destro tagliente di De Paul, un comodo tap-in di Zapata, e giusto per non farci mancar nulla anche una più che clamorosa autorete di Rubinho, sulla quale non indugio per il reverenziale rispetto nei confronti del numero 83 e del suo felice passato tra i pali del Grifo. In fondo mica è tutta colpa sua, topica a parte. Il problema è che colui che in teoria sarebbe chiamato (e non solo dal contratto triennale) a metter una pezza sopra le ultime recenti scabrose performances della squadra, non riesce a cavare il ragno dal buco. E non pago dal rendersi principale attore e regista di un horror dietro l’altro, eccolo ieri svolgere un richiamo poco elegante su quanto fatto dal suo precedessore: “Siamo tutti responsabili di quello che sta accadendo, Juric compreso”. Ecco poi qualche numerino, giusto per acuire la sofferenza. Eccezion fatta per un 2-0 contro l’Empoli, evento unico nel suo genere, il Grifo non vince dal 15 dicembre 2016 (recupero contro la Fiorentina, bastò Lazovic).
Prima di questo, dobbiamo tornare al 3-1 con cui la banda Juric aveva disintegrato una Juve deflagrata al Ferraris così come un ordigno bellico fatto brillare dal più valoroso degli artificieri. In quella circostanza, e lo dico nel pieno possesso delle mie facoltà, si erano visti probabilmente i 45′ migliori dal dopoguerra. Quanto sono lontani quei gloriosi tempi! Ieri è arrivata la quarta sconfitta consecutiva, a cui stiamo facendo forzatamente l’abitudine. Che poi, anche all’andata perdemmo il derby ma ci rialzammo immediatamente contro il Milan (3-0). Dalla rete di Muriel, o sarebbe meglio parlare del regalo di Ntcham, ecco che Mati Fernandez ha regalato i tre punti ai rossoneri prima di 8 gol presi in due gare. Non solo fuori casa, ma anche nel fortino del Ferraris dove storicamente ogni ospite trova un ambiente ostile. Come se non bastasse, c’è anche la disaffezione del popolo genoano che contesta la gestione di Enrico Preziosi, privando la squadra del supporto ad opera del dodicesimo uomo in campo. E siccome in onor suo è stata anche ritirata la camiseta numero 12, vuol dire che poco importante non è.
Caporetto, la dodicesima battaglia dell’Isonzo. Risale alle prime ore del 24 ottobre 1917, la più grande disfatta dell’esercito italiano. La storia è arcinota, quel che voglio ricordare è che i fatti portarono alla sostituzione del generale Cadorna con Armando Diaz. Tra i nomi degli imputati sarebbero tuttavia da aggiungere pure quelli di alti ufficiali come Badoglio, mentre è chiaro che l’inefficace preparazione dell’artiglieria italiana abbia giocato un ruolo fondamentale. Allo stesso modo, la colpa concernente la crisi va equamente divisa tra gestione societaria e squadra. Non solo Preziosi, non solo la rosa, non solo Mandorlini (fermo restando che il general Andrea mi pare il maggior responsabile di tutto questo). Stellini, Juric? Non importa. La salvezza è lì, dietro rallentano ma almeno pareggiano (Empoli e Pescara) rosicchiando punti e standoci alle calcagna. Quando poi a qualche Cenerentola riesce pure il colpaccio della vita (vedi Crotone), il morale subisce un’impennata e tutto può diventar possibile. Teniamolo a mente. Nel suo editoriale, comunque, il direttore ha ricordato come Udine si trovi a pochi chilometri da Caporetto. Io mi limito a rammentarvi, con tono speranzoso e quasi oniricamente utopico, che dopo Caporetto è arrivato Vittorio Veneto.
Matteo Albanese
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