Alfredo Pedullà – Nel nome del padre e non solo: Giovanni Simeone, “Garra” e killer instinct

Il giornalista svolge un ritratto del centravanti del Genoa


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Nel calcio, sovente, tutto si risolve in una questione di opportunità. E Giovanni Simeone, la sua, l’ha sfruttata come meglio non avrebbe potuto. Ivan Juric nelle prime due vittoriose partite – con Cagliari e Crotone – lo aveva tenuto in panchina, poi uno spezzone da 19 minuti contro il Sassuolo, dopodiché è arrivato l’infortunio di Pavoletti a spalancargli il posto in seno al reparto avanzato: un’ora contro il Napoli nel turno infrasettimanale, con quell’urlo rimasto in gola per la chance da 3 punti sciupata nel finale, ieri il debutto da titolare. E Gio, da predestinato qual è sempre stato per via del cognome ingombrante, ha mantenuto le premesse. Gol all’esordio sotto la Gradinata Nord, cuore pulsante del tifo rossoblu: bel filtrante di Gentiletti, improvvisatosi uomo assist per l’occasione, e sinistro preciso sul primo palo sul quale nulla ha potuto Bizzarri, il portiere di quello stesso Pescara che – ironia della sorte – lo aveva trattato in estate, senza però mai trovare l’accordo con il River Plate, prima che andasse a segno il blitz del Grifone. L’unico neo della domenica settembrina, per il Cholito, è rappresentato dal fatto che il suo exploit non è bastato al Genoa, ridotto in nove uomini dopo le espulsioni di Edenilson e Pandev, per fare propria l’intera posta in palio: nel finale di gara ci ha pensato un altro enfant prodige del gol, l’albanese Rey Manaj (che il Pescara ha preso “in sua vece” in prestito dall’Inter), a regalare il pari agli abruzzesi di Massimo Oddo.

“Segnare sotto la Nord è un’emozione da sogno, avrei voluto continuare a urlare per tutti gli altri minuti. Cosa mi ha detto Juric? Di stare tranquillo e fare quello che faccio sempre in allenamento. Se ho già sentito papà? Ancora non ho visto il telefono, l’Atletico sta ancora giocando, mi dicono stia vincendo (così sarà, 1-0 al Deportivo La Coruna, ndr) e speriamo finisca così. Dimostro la sua stessa grinta? Io so che mi ha trasmesso la sua forza e la sua cattiveria, la sua voglia di vincere. Quando Pescara e River non hanno chiuso mi hanno chiamato il presidente Preziosi, Juric e Burdisso perché mi volevano qui e io ho avuto la possibilità di realizzare il sogno di giocare in Europa, ma so che devo lavorare tanto per crescere e migliorare”. Queste le dichiarazioni rese a caldo da Simeone Junior dopo la prima rete in Serie A, lui che il Bel Paese lo aveva già respirato da piccolo. Quando nacque, a Madrid il 5 luglio del 1995, papà Diego giocava nell’Atletico all’interno del primo quinquennio spagnolo dopo i due anni al Pisa, ma poi sarebbe tornato in Italia per le ulteriori sei stagioni trascorse con le maglie di Inter e Lazio. Il calcio nel destino tipico dei figli d’arte, con tutto ciò che tale bagaglio comporta. Corsia preferenziale da una parte a livello di inclinazioni, rischio di rimanere schiacciato da paragoni e aspettative dall’altra: “chiamatemi pure Giovanni o Gio, non per forza Simeone”, disse non a caso una volta davanti ad un microfono. Il ruolo è diverso: centrocampista Simeone senior, che ad agosto è andato a trovarlo una prima volta in Liguria, attaccante il primogenito che porta anch’egli Pablo come secondo nome. Ma il temperamento sembra lo stesso, questione di “garra” e dna. Con in più il killer instinct proprio di chi gioca per il gol.

Formatosi nel settore giovanile del River Plate, da urlo l’annata 2010-2011 chiusa con 26 gol in 22 partite, con la prima squadra dei Millonarios nel complesso la giovane punta ha collezionato (oltre a qualche capigliatura impresentabile) 30 presenze e 4 reti, mettendo in bacheca 1 campionato argentino, 1 Copa Libertadores, 1 Copa e 1 Recopa Sudamericana. Importante l’esperienza al Banfield dell’anno scorso: 12 segnature in 34 gare. Numeri ai quali vanno aggiunti quelli con la camiseta albiceleste: 10 gol in 12 incontri (!) con l’Argentina Under 20, con la quale si è laureato campione nel Sub-20 del 2015 oltre che capocannoniere a mani basse; tre apparizioni, da titolare, a Rio 2016 con la selezione olimpica allenata da Olarticoechea dopo l’addio del Tata Martino e la conseguente “separazione” delle panchine (Nazionale maggiore affidata a Bauza). Adesso il rapido attaccante sudamericano, che può giostrare sia da centravanti che da punta esterna grazie al suo fisico compatto ma scattante (181 cm per 81 kg), è chiamato a confermarsi. La strada verso la consacrazione in Europa è molto lunga, ma la carta d’identità è dalla sua parte e chissà che un giorno quella Champions League (stregata per papà Diego), che oggi ha soltanto tatuata sul braccio sinistro, non possa realmente alzarla al cielo. Sul destro invece sono visibili le tre G incise, l’iniziale del nome suo e dei fratelli Giuliano e Gianluca. Nel nome del padre e non solo: la famiglia tutta, c’è da starne certi, lo sosterrà con tutta la forza di casa Simeone.

Alfredo Pedullà
TRATTO DA ALFREDOPEDULLA.COM

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